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In data 17 giugno è apparso sul quotidiano il sole 24 ore un appello al rigore , mercato e investimenti come risposta al no manifestato dai referendum francese e danese sul trattato europeo.
Purtroppo tale esito negativo ha dato il destro ad esponenti della Lega, soprattutto al ministro Maroni di invocare l’uscita dell’Italia dall’Euro .
Questa che segue è la motivazione che come professore di Economia aziendale e di finanza d’impresa ho inoltrato a supporto dell’adesione. Interpretando anche l’idea del Comitato.
Per chi è interessato a leggere il testo integrale dell’appello può andare nell’indirizzo internet sottostante:
Sottoscrivo l’appello con la sottolineatura che concordo sul fatto che il problema dell’attuale situazione economica, non è stato suscitato dall’introduzione dell’euro, bensì dalla incapacità del Governo in carica di trovare un sistema automatico di controllo dei prezzi al dettaglio (la cui soluzione c’era, era semplice e forse con qualche sforzo sarebbe ancora attuabile) che ha determinato un aumento di inflazione strisciante e subdola che ha falcidiato il potere d’acquisto delle fasce salariate più deboli.
Inoltre la poca lungimiranza governativa non ha assolutamente considerato che l’unico modo per uscire dalla crisi non sono le “ottimistiche illazioni berlusconiane” bensì il lancio di un preciso programma di sviluppo legato alla redazione ed attuazione dei piani regolatori particolareggiati per ogni regione. Soltanto in questo quadro di riferimento sarà infatti possibile ridare sviluppo al nostro Paese in maniera organica e razionalizzata nel rispetto dei patti di stabilità nazionale e locali.
Pertanto una svolta per il rilancio non deve vederci rinunciatari all’Europa ed all’Euro (che rappresentano le uniche cose sensate della strategia di sviluppo del nostro Paese) bensì fortemente agganciati all’Europa ed al suo mercato in cui apportare quel valore aggiunto che solo l’Italia può dare in termini di sviluppo sostenibile e di strategie commerciali in cui si privilegi il “capitalismo di addizione”.
Tutto in una nuova realtà industriale che potremmo denominare “eco-industriale” che miri non soltanto a reiterare il vecchio, ma ad inserirsi in una nuova realtà di “neo-capitalismo etico” che ponga lo sviluppo socio-economico al centro degli sforzi di ciascun Paese progredito.
In tale contesto occorre fare attenzione alle rendite derivanti dalla giungla immobiliare, dalla giungla mobiliare, dalla serie di patti di sindacato, di opa e opas addomesticate da interessi esterni al mercato, da conflitti tra organismi istituzionali di controllo (leggasi Bankitalia e Consob) da dirompenti e sciocc(he)anti innovazioni nel mercato del lavoro portate avanti da un ministero che si dice del Welfare ed a capo del quale c’è un ministro che “parla solo per parlare” e che non si rende conto della responsabilità che la carica da lui ricoperta gli implica: il ritorno alla lira, così come prospettato sarà annoverato molto probabilmente, tra il guinness dei primati, mi si permetta di dirlo senza offesa, delle “stupidaggini dette da uomini di governo coperte dall’immunità parlamentare”.
Il ministro probabilmente si è lasciato sfuggire che la moneta rappresenta innanzitutto una passività della banca centrale che la emette e quindi basta questo per capire l’”insensatezza” monetaria ed economica della proposta e del danno che ha provocato all’immagine dell’Italia. Forse perché benché Ministro della Repubblica pone evidentemente al primo posto la Padania.
Allora invece di continuare sulla scia della superficialità e della manifesta incompetenza, il governo (ormai si spera almeno il prossimo di colore diverso) si fornisca di tecnici più competenti e impegnati sul piano etico-sociale, in grado di dare soluzioni concrete, ma non solo dal punto di vista degli interessi parziali di chi detiene il potere, bensì per il Paese intero che come giustamente ha sottolineato il Capo del Governo è un Paese tra i più ricchi al mondo, dimenticando però forse una cosa, che lo standard di vita migliore, non deriva dalla ricchezza del PIL bensì dalla sua distribuzione e che non è ricco quello Stato che possiede molte materie prime o altri cespiti, è ricco invece quel Paese che sa amministrare con i migliori sistemi finanziari e con equilibrate manovre di politica economica le “poche” ricchezze di cui dispone.
Allora rimbocchiamoci le maniche, rimettiamo l’uomo al centro della realtà sociale, riscopriamo l’importanza della famiglia e dei figli, l’importanza dell’apporto degli immigrati sia in termini economici che sociali e culturali, riscopriamo “l’ancora all’Europa” di cui siamo tradizionali costruttori e protagonisti, stacchiamo la precarietà reddituale da quella lavorativa, trasformando questa in flessibilità esclusivamente di lavoro.
Impariamo a valutare la crescita non soltanto in termini di PIL, ma in termini sociali ed eco-compatibili in accordo con strategie etico-comportamentali che non temano assurde concorrenze cinesi: finché affronteremo la Cina esclusivamente sotto il profilo di “clup” saremo sempre perdenti e destinati a soccombere.
Affrontiamo invece “la Cina” nella maniera in cui siamo capaci, a livello intellettuale, a livello di ricerca diffusa in tutti i campi, riscoprendo l’importanza dell’arte e della cultura che non significa soltanto mera accumulazione.
Correre sfrenatamente verso l’innovazione a puro scopo commerciale comporterà che la globalizzazione ci vedrà immancabilmente perdenti.
Abbiamo invece il coraggio di rivalutare i nostri percorsi formativi (non come suggerito da Guido Tabellini nell’editoriale del 15 giugno al punto 3) con ricercatori e soprattutto professori che non siano “stanchi” come è dimostrato dall’Università e dalle strutture del Paese.
Se il Paese è carente in termini di sviluppo è da addebitare in maniera prevalente a due elementi: primo la scarsa attenzione per l’istruzione sia primaria e secondaria che universitaria (basti pensare che un professore di scuola media dopo 25 anni di lavoro percepisce 1650 euro netti scarsi in busta paga), basti pensare che nell’Università esistono Professori a contratto (a volte ben più quotati professionalmente ed inseriti nella loro disciplina dei rispettivi professori ordinari e questo è dimostrato dal ruolo che svolgono nella realtà economica) che vengono pagati con stipendi annuali di Euro 2.600 lordi. Senza maturare alcuna dignità accademica nonostante la loro missione.
Veramente avvilente.
Il secondo elemento è il monopolio della vita socio-politico-economica.
Questo per dire che non c’è equilibrata redistribuzione di incarichi e mansioni in nessuna delle realtà citate.
Infatti se prendiamo la realtà imprenditoriale osserviamo che non c’è ricambio generazionale; nelle grandi imprese non c’è consigliere di amministrazione, tranne che in rare occasioni, che non ricopra almeno due o tre altre cariche in altri diversi CdA.
Nella realtà politica si permette di fare il deputato e nello stesso tempo di difendere cause in tribunale, anche in netto conflitto di interessi a livello etico (vedi On. Ghedini avvocato di fiducia del Premier).
Nella realtà professionale va quindi da sé che gli incarichi vengano sempre fatti convogliare verso studi discrezionalmente, “affidati, fidati e…pertanto affidabili”. Nell’inserimento professionale non si riesce a disgiungere la logica professionale da quella clientelare (il lavoro di solito, anche gli stage, si assegnano quasi esclusivamente su segnalazione).
Le società di revisione, vanno a braccetto con quelle di consulenza e le cosiddette Authorities essendo squisitamente pubbliche devono necessariamente mirare esclusivamente ad un controllo di tipo meramente burocratico.
Le privatizzazioni, non si fanno e se si fanno sembrano sempre indirizzate verso precisi interessi di parte.
La politica per la casa lascia ampi spazi alla speculazione che a fronte di una cartolarizzazione (scip) effettuata in maniera selvaggia, vede prassi d’asta, con la scusa del libero mercato, quanto mai discutibili sul diritto e la possibilità di partecipare per i ceti meno abbienti ed il contrasto di prezzi che variano da quelli di mercato a prezzi all’ingrosso da “svendita di magazzino”.
Mi fermo qui, richiamando a tutti gli uomini di buona volontà il messaggio che il “bene d’ordine” si crea a livello umano sulla spinta di uno stress ideale che vede nei principi dell’etica deontica il motore vero dello sviluppo, ma sviluppo nel senso espresso dalla Populorum Progressio del 1967 enciclica di Papa Paolo VI che al punto 76 dice che “Lo sviluppo è il nuovo nome della pace”.
Prof. Romeo Ciminello
Facoltà di Scienze Sociali
Pontificia Università Gregoriana
Prof. a contratto di Finanza d’impresa, Economia Aziendale
Facoltà di Scienze Politiche
Università degli Studi di Trieste
Presidente del Comitato di Promozione etica